Quando si parla di Interventi Assistiti con Animali non si può non pensare a lui: al Dott. Lino Cavedon, psicologo e psicoterapeuta, che in Italia ha portato, con la sua magistrale esperienza, un contributo senza precedenti.
Dedicato a chi vuole formarsi nel campo degli IAA, agli studenti in formazione, agli specialisti del settore.
“Lino, ti avremo nuovamente in ASLAN come docente d’eccellenza del Corso Propedeutico e del Corso Avanzato. Ascoltare le tue lezioni è sempre emozionante. Cosa ti senti di dire agli studenti che si formeranno con noi e che sognano di lavorare negli IAA?”
Vorrei dire loro che l’animale è un essere dotato di straordinari sensi che si muove nel creato. È mistero. L’animale è anemos, è archetipo presente nel profondo della storia dell’uomo.
Scegliere pertanto di porre al proprio fianco un animale significa riconoscere di essere manchevoli di particolari abilità, preziose al fine di riuscire a svolgere un valido lavoro psicoterapico.
Riconoscere i propri vuoti consente pertanto di ridimensionare il proprio narcisismo terapeutico, acquisendo così il senso di un co-protagonismo riabilitativo che non mortifica ma anzi esalta ed arricchisce.
Creare alleanza con l’animale significa quindi mettere a disposizione della persona stimoli mirati e complementari, in grado di creare una eco interiore ampia e coinvolgente. Implica introdurre nel rapporto codici diversificati di comunicazione, linguaggi plurimi ai quali il paziente, in base alle sue risorse, si può agganciare affinché l’esperienza riabilitativa diventi occasione per riparare ferite e per una rinnovata narrazione di sé.
È fondamentale pertanto che chi sceglie di realizzare interventi con la mediazione dell’animale abbia una conoscenza profonda delle singolarità dell’animale stesso e delle dinamiche psichiche che egli è in grado di favorire. Gatto, coniglio, cane, asino e cavallo offrono pertanto uno scenario ampio, diversificato, estremamente ricco, a disposizione del paziente e del suo terapeuta, per fare un percorso riabilitativo efficace e divertente.
La formazione deve pertanto fornire validi strumenti di pensiero e di scelte progettuali.
Il fare non sarà pertanto un agire generico e stereotipato, ma sarà un abito confezionato su misura per il nostro paziente.
“A breve l’apertura della collana Erickson da te diretta: una serie di volumi dedicati agli Interventi Assistiti con Animali. Cosa ti ha spinto a creare tutto questo? Raccontaci nei dettagli l’esperienza editoriale e quale meraviglia ci attende”.
Negli anni scorsi ho avuto la fortuna di conoscere tanti colleghi bravi, cui sono estremamente grato, che, nelle varie regioni italiane, hanno realizzato esperienze particolarmente interessanti dal punto di vista clinico e con attenzione anche agli aspetti scientifici. Ricordo quando l’allora Sottosegretario al Ministero della salute Francesca Martini ci aveva raccomandato di avviare sperimentazioni per riuscire a dimostrare la valenza riabilitativa degli IAA. Questa era la condizione affinché si potessero creare i presupposti per chiedere il riconoscimento di LEA per alcune specifiche patologie. Questo sarà un obiettivo difficile da raggiungere per ragioni di tipo finanziario, ma nulla ci impedisce di operare per guadagnarci la stima del mondo sanitario.
Ho pensato pertanto che era un delitto disperdere tutto questo patrimonio di fantasia e di intraprendenza di interventi realizzati con gli animali con patologie diversificate, perchè rappresentano un valore unico. Occorreva pertanto raccogliere la memoria di tutte queste vicende professionali creando un contenitore dedicato ad hoc. Ho trovato nell’editore Erickson un interlocutore attento ed intraprendente che ha accettato la sfida di aprire una collana editoriale dedicata appositamente agli IAA.
È già in fase di stampa il mio libro di apertura della collana intitolato “Interventi assistiti con gli animali: manuale introduttivo”. Nel volume propongo una prima riflessione sul senso del nostro rapporto con gli animali; evidenzio poi la necessità di conoscere gli aspetti etologici e psicologici degli stessi, soffermandomi sui fattori di originalità, sulle leve di terapia, sul guadagno di cura che ci viene offerto dagli interventi con gli animali. E’ poi di fondamentale importanza conoscere le dinamiche psicofisiche favorite da tale relazione, al fine di sapere su quali aree psicologiche abbiamo una particolare capacità di incidere. Il setting, ben pensato e strutturato, favorisce il meccanismo del transfert affinchè la persona possa risvegliare vissuti latenti e patogeni. Accenno poi anche a quei meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività, favoriti dalla scoperta dei neuroni specchio, che probabilmente ci aiutano a comprendere dinamiche misteriose e straordinarie che riscontriamo a volte tra paziente ed animale. Parlo infine di consapevolezza di sé, di competenze e di responsabilità da parte dell’individuo e da parte dell’équipe multiprofessionale. Non ho dimenticato il concetto della sostenibilità degli IAA nell’ottica del sistema sanitario, da cui ci aspettiamo il riconoscimento degli IAA quale valido e peculiare approccio riabilitativo.
Ad ottobre usciamo con il libro di Raffaella Cocco e di Sara Sechi, veterinarie dell’università di Sassari, dove c’è a mio giudizio l’eccellenza accademica per quanto riguarda gli studi relativi al cane impiegato nei setting di terapia. Le ricercatrici hanno infatti cani propri con cui hanno esperienze cliniche dirette con pazienti, in quanto collaborano strettamente con la facoltà di Medicina dell’Università e con l’Azienda sanitaria. Il volume tratta l’argomento dell’educazione del cane per operare nel campo degli IAA e a favore del disabile in carrozzina.
A novembre uscirà il volume dedicato ai disturbi della nutrizione scritto dai miei colleghi Ivano Scorzato e Michela Romano, esperti negli IAA e da Cinzia Ionata e Arianna Bigarella, psicologhe esperte nel campo dei disturbi del comportamento alimentare. Il libro presenta una ricerca clinica molto originale, effettuata con pazienti seguite da un’azienda sanitaria e fornisce una metodologia di lavoro davvero interessante che si è rivelata efficace e gradita dalle ragazze stesse.
A dicembre uscirà il volume scritto dal professor Massimo Frascarelli, medico neuropsichiatra infantile e fisiatra, già docente presso l’Università La Sapienza di Roma. Massimo, già nel 1988, ha scritto un trattato di riabilitazione equestre con Daniele Citterio ed è stato pertanto un pioniere in Italia degli IAA. Il suo libro sarà intitolato L’autismo in sella dedicato a comprendere come la riabilitazione equestre possa dare un prezioso contributo ai bambini affetti dal disturbo dello spettro autistico.
Ci sono poi molti altri colleghi che stanno scrivendo e nel 2018 avremo il piacere di pubblicare i loro volumi.
Sono emozionato ed incredibilmente soddisfatto perché stiamo creando finalmente una letteratura specifica, frutto dell’impegno professionale di molti colleghi che, in prima persona, si accollano l’onere finanziario della stampa del libro. Lasceremo finalmente traccia, memoria di buone pratiche realizzate in Italia. Tali volumi rappresenteranno la fonte di ispirazione per molti colleghi che vorranno impegnarsi seriamente in tale ambito.
“Nell’ambito degli IAA in Italia hai portato davvero moltissimo: la direzione medico psicologica del CRN anni fà, hai partecipato alla scrittura delle Linee Guida, alla creazione di un’èquipe di pet-therapy nell’Alto vicentino, ti sei inventato l’impresa editoriale con Erickson…C’è qualcosa a cui tieni che vorresti realizzare nei prossimi anni?”
Vorrei che si puntasse in alto. Che si ricollocasse la persona al centro del nostro sguardo, dei nostri convegni. Si continua a pensare che l’animale fa terapia e poi si consegna ai media questo messaggio fuorviante. L’educazione e la terapia sono peculiarità dei vari professionisti formati in specifici ambiti riabilitativi che hanno la responsabilità di farsi carico delle attese che arrivano dai nostri pazienti. Vorrei che si riconoscesse nelle linee guida, pur imperfette e sempre perfettibili, la sintesi del pensiero di molti esperti ed il modo migliore per garantire il successo terapeutico. Riscontro tristemente che molti colleghi terapeuti non sono presenti durante le sedute di IAA, ma vedono il paziente successivamente per una elaborazione psicologica. Si perdono pertanto il “qui e ora” fatto di emozioni, di gestualità, di sentimenti spontanei e profondamente autentici e considerano terapia un evento in cui non è presente il terapeuta.
Io temo che nei prossimi anni ci sia un effetto rebound. Intravedo infatti una sorta di caduta di impegno sul versante clinico, con una conseguente banalizzazione degli IAA, un depauperamento delle esperienze ed un conseguente calo di interesse da parte del mondo sanitario.
Temo quel modus operandi che si sente appagato dallo stupore provocato dalla presenza dell’animale, temo quell’agire in superficie che non crea le condizioni affinchè si attivino dinamiche profonde, affinchè dolori e traumi possano slatentizzarsi, diventare pensiero e liberazione da un vissuto soffocante.
Presumo che la formazione di base si possa arenare, nella misura in cui non si viene legittimati e ritenuti preziosi perché si offre una prestazione riabilitativa che si configura come un interessante guadagno di cura, di cui il sistema sanitario non dispone.
Occorre pertanto mettere a punto modelli di lavoro con specifiche patologie, ovviamente frutto dell’esperienza clinica.
Auspico che si comincino a realizzare eventi in cui non si ripetono ancora i soliti concetti validi ma già sentiti, ma ci si focalizzi su strategie fini di lavoro, su strumenti raffinati di valutazione. Dell’animale vorrei che si sviluppasse la consapevolezza che deve configurarsi come risorsa affinchè il paziente possa trovare parti di sé, per poterle più facilmente risvegliare. Lo stesso deve avere pertanto specifiche peculiarità che non lo rendono adatto a tutte le situazioni.
“Come e quando è nato il tuo interesse verso gli IAA?”
È nato quando ho riconosciuto di essere in difficoltà nella relazione con bambine che erano state abusate. Nel periodo in cui ero responsabile di un Servizio tutela minori, ho compreso che una minore profanata nel corpo e nell’animo da un maschio, aveva il sacrosanto diritto di “difendersi” da tutti i maschi, me compreso. Che dovevo riconoscerle l’esigenza di creare una corazza autoprotettiva. Ho intuito che il contatto altresì con il cane poteva risultare relazione percorribile, in grado di agganciare in tempi brevi l’area dell’affettività, i vissuti emozionali, introducendo aspetti di sensorialità, di gioco, di complicità. Tutto questo per rendere il dolore pensabile, narrabile a qualcuno che è attento e capace di tradurre in pensiero qualcosa di magmatico che si era annidato dentro il cuore e il corpo di chi aveva subito una prevaricazione.
Ho percepito che il cane aveva il vantaggio di non essere un umano, pur risultando essere senziente, che il cane poteva creare canali di comunicazione fluida, producendo un effetto liberatorio e riabilitativo.
Quando con i miei colleghi abbiamo avviato le prime sperimentazioni per saggiare la bontà di tale metodologia riabilitativa, abbiamo avuto riscontri così intensi ed efficaci che ce ne siamo innamorati. Siamo riusciti a convincere anche il Direttore generale della nostra azienda sanitaria che ha deliberato la creazione di una équipe di pet-therapy. Poi è arrivata l’avventura del Centro di referenza nazionale e la grande opportunità di dedicarsi a tempo pieno allo studio, all’applicazione clinica e alla formazione relativa al ruolo dell’animale domestico come mediatore nei processi di cura.
“Nelle tue lezioni parli del “cercare oltre il già noto”. Cosa porta l’Animale nella relazione?”
Lo psicologo è un innamorato della parola, elemento simbolico del pensiero, come strumento di comunicazione e di cura. Propone un setting formale con una scrivania che si interpone abitualmente con il paziente. Le scuole di pensiero su cui ognuno di noi si è formato sono ovviamente riflesso della personalità del suo ideatore. Tutte sono valide nella misura in cui calzano bene con la personalità dello psicologo che si sta formando. I colleghi che hanno altresì una formazione psico-corporea possono ridurre le distanze e consentirsi il contatto corporeo con il paziente, ben codificato e mirato allo sblocco di residui energetici, come ci ha insegnato Lowen.
Il già noto è pertanto il bagaglio di conoscenze e di competenze che si acquisiscono nei luoghi classici della formazione, ossia l’università e le scuole private accreditate.
Andare oltre il già noto significa essere disponibili a rimettersi in gioco, a far entrare nel processo di cura i tratti temperamentali e caratteriali dell’animale che creano un flusso nuovo e sconosciuto di dinamiche rilassanti e fuori dagli schemi. Il professionista di IAA deve essere un creativo con una meta da raggiungere, che non progetta però rigidamente la seduta ma sa cogliere con fantasia quanto emerge nel contesto riabilitativo. Anche il contesto di riabilitazione neuro-motoria non può diventare palloso e ripetitivo, ma necessita di stimoli che rinfreschino la motivazione a fare fatica. Nel mio libro parlo molto delle leve di terapia, dei meccanismi di benessere che vengono favoriti dalla mediazione dell’animale. Racconto anche di Freud che per molti anni, nel suo studio, ha avuto la presenza attiva di Jo-fi, un simpatico chow-chow, cui attribuiva valide doti intuitive verso i pazienti.
L’alleanza terapeuta-animale, favorita dalla capacità del coadiutore di stimolare l’animale a stare piacevolmente in relazione e a dare il meglio di sé, è una opportunità rivoluzionaria e straordinariamente valida.
“Gli studenti, durante le tue lezioni, restano incantati ma allo stesso tempo acquisiscono un’importante consapevolezza. Etica e responsabilità verso se stessi, verso gli altri e verso l’Animale. Qual è la chiave per rendere concreti questi valori?”
La parola terapia è sacra. Significa infatti che noi ci facciamo carico di un processo di cura e di guarigione. Implica grande responsabilità verso le attese della persona. Noi abbiamo l’onore di essere invitati ad entrare nel mondo interno della persona che si apre a noi con fiducia. Ci mostra le sue paure, ci chiede di riuscire a rivisitare traumi e di risvegliare dolori. E’ un impegno delicato ed importante. Come può il coadiutore dell’animale osare attribuirsi tale funzione, tali obiettivi, tale carico di incombenze? Come può altresì il professionista della cura vivere in seduta una condizione dicotomica, dovendo prioritariamente farsi carico del paziente, ma con la pretesa di monitorare anche lo stato psico-emotivo dell’animale?
Lavorare in équipe significa pertanto garantire al paziente una presa in carico rispettosa ed etica.
Significa avere maggiore probabilità del successo terapeutico, soprattutto nei casi in cui si stia lavorando con problematiche complesse.
Sapere significa garantirsi le giuste conoscenze riguardanti la specifica disciplina degli IAA; saper fare riguarda l’operatività, il modello di lavoro, i sistemi di valutazione. Il saper essere riguarda invece la nostra capacità di approcciare specifiche patologie o problematiche, considerando il nostro coinvolgimento emozionale e la capacità di tenuta. Anche il saper essere empatici è requisito fondamentale per non accumulare e trattenere dentro di sé inquietudini derivanti dalla relazione con chi sta male.
Non occorre pertanto farsi prendere dal delirio di onnipotenza, ma avere una buona conoscenza di sé sapendo in quali ambiti noi siamo in grado di esprimerci al meglio. Dobbiamo essere etici anche nei confronti dell’animale evitando il rischio di un impiego improprio e di un sovraccarico psico-emotivo, con un’alta probabilità di perderlo. L’équipe è anche l’occasione preziosa per avere un feedback e per imparare ad avere cura di sé evitando il rischio del burn-out.
Lino, grazie per aver rilasciato questa meravigliosa intervista.
Siamo certi sarà utile ai professionisti di settore e alle persone che, in procinto di formarsi, sognano di lavorare al mondo degli IAA.
Ti aspettiamo a Torino in ASLAN a novembre!
Antonia Tarantini